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Categories: Economia

Quantità di pezzi metallici, la Zecca di Stato

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Redazione

Fino al 1961 la quantità di pezzi metallici coniati dalla Zecca di Stato poteva considerarsi sufficiente in quanto la circolazione monetaria risultava pari al 3,4% rispetto ai biglietti di Stato: 2.880 miliardi di biglietti e 96 miliardi di monete.

Quantità di pezzi metallici, la Zecca di Stato (Portalino.it)

Col passare degli anni il rapporto banconote-monete cadde all’1,7% e ciò a causa soprattutto dell’inflazione galoppante che si ebbe nel 1974 e fino al 1977. Essa determinò l’immissione di una enorme quantità di banconote, mentre la coniazione di monete divisionali rimase stazionaria. Se a questo si aggiunge: la voracità delle gettoniere dei juke-box, dei flippers, delle varie biglietterie automatiche; le esigenze dei numismatici di tesaurizzare i pezzi più belli; la massiccia “richiesta” da parte dei fabbricanti di orologi giapponesi che -come fu pubblicato all’epoca- trasformavano le nostre monete di ottima lega in casse per il loro prodotto; se si aggiunge, infine, che alcuni bottonifici nostrani ebbero l’idea di “animare” con le monete i loro bottoni, e anche che i pezzi venivano portati via dai turisti per “souvenir”, è facile immaginare l’inevitabile rarefazione del circolante decimale.

Questa situazione che rendeva sempre più difficile l’ordinaria vita commerciale quotidiana (i negozianti erano costretti a dare il resto in caramelle, cerotti, gettoni telefonici e altro), venne rivoluzionata dalla comparsa di un assegno circolare di piccole dimensioni (110×60 mm. – 210×58 mm.) in tutto simile a quelli ordinari. Fu emesso, primo in Italia, dall’Istituto Bancario San Paolo di Torino il 10.12.1975. Era intestato all’associazione commercianti di quella città. Da questa data inizia la travolgente “avventura” dei “miniassegni” che, con alterne vicende, coinvolgerà, volente o nolente, tutti gli italiani ed alcuni “investitori” francesi, inglesi, tedeschi ed americani i quali si “rifornivano” nelle nostre banche e nei nostri mercatini per soddisfare le richieste, sempre più crescenti, dei collezionisti dei loro Paesi. All’epoca, venne scritto a questo proposito che “l’Italia esporta il prodotto dell’inefficienza statale”.

Miniassegno banca cattolica del Veneto

Miniassegno (Portalino.it)

Molte furono le banche, oltre la citata San Paolo, che emisero miniassegni nei vari tagli da 50, 100, 150, 200, 250, 300 e persino da 350 lire: Credito Italiano, Banco di Napoli, Banca Agricola Commerciale di Reggio Emilia, Banca di Credito Agrario di Ferrara, Banca di Trento e Bolzano, Istituto Bancario Italiano, Banca Cattolica del Veneto, Banca Provinciale Lombarda, Cassa di Risparmio di Biella, Banco di Sicilia, Banca di Credito Agricolo e Bresciana, Cassa di Risparmio di Venezia, Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino ed altre. A queste vanno aggiunti i “buoni” emessi da associazioni di commercianti di varie città, compreso l’Upim e La Rinascente.

Complessivamente, furono interessate alla emissione 32 banche, per un totale di 835 tipi diversi, per l’ammontare di 200 miliardi di lire di facciale. Il collezionismo si impadronì del fenomeno che coinvolse cittadini di tutte le età, protesi ad accaparrarsi i “pezzi” più validi per poterli scambiare o rivenderli lucrando. Furono editi cataloghi e bollettini con valutazione quasi giornaliera. Il più famoso studioso dell’epoca fu Guido Crapanzano, un vero intenditore e grande collezionista: pare che la sua raccolta comprendesse oltre 70.000 pezzi considerando le sfumature, gli errori e i falsi. I miniassegni, infatti, furono anche falsificati. La stampa diede notizia dell’arresto di uno studente romano di architettura il quale aveva “emesso” un miniassegno di L. 150 del Credito Astigiano (istituto inesistente), ed uno della Banca Sella di Vercelli, di colore verde, con impressa, sotto le scritte, l’immagine di una chiesa poi risultata essere la basilica di Massenzio. Le quotazioni dei miniassegni raggiunsero vette impreviste: il 100 lire del Banco di Napoli del 12.3.1976, intestato al “Consorzio Fata Morgana”, superò le 500.000 lire, e quello dello stesso banco per lo stesso importo, all’ordine del Centro Diffusionale Commerciale di Locri, venne quotato 2 milioni di lire!

Miniassegno banco ambrosiano

Sotto l’incalzare delle sferzanti critiche della stampa che si rendeva interprete della generale insofferenza manifestata dai cittadini verso i miniassegni – a causa soprattutto dell’usura che spesso rendeva questi pezzettini di carta inservibili- verso la fine del 1977, inizi 1978, la Zecca italiana, ristrutturate alla men peggio le proprie attrezzature, coniò e mise in circolazione un centinaio di milioni di pezzi di una nuova moneta da L. 200 (da alcuni chiamata bronzino), cui affiancò pezzi da 100 e 50 lire. Non era molto, rispetto al fabbisogno, ma costituiva pur sempre un segno concreto con cui lo Stato intendeva porre fine ad un fenomeno durato più del necessario.

Questo segnò l’inizio della fine per i miniassegni che, gradatamente, uscirono di scena creando alle volte situazioni paradossali come quella verificatasi a Milano in un’agenzia del Credito Italiano di piazza Cordusio. Qui, un gruppo di radicali paralizzò uno sportello chiedendo la conversione in moneta di 600 miniassegni, i quali, ovviamente, avrebbero dovuto essere firmati uno per uno ed elencati nell’apposita distinta. Usciti di scena, i miniassegni continuarono a vivere ancora per qualche anno fra gli scambi dei collezionisti, poi su tutto scese l’oblio. Da qualche tempo però si notano segni di ripresa. Sulla stampa specializzata si leggono sempre più spesso richieste di acquisto, di vendita e di scambio di miniassegni. Molti mercatini hanno ripreso ad offrirli. La curiosità fra la gente è tanta e parecchi sembrano interessati ed attratti. Gli ingredienti per un ritorno sulla scena del collezionismo minore ci sono tutti, ma si verificherà effettivamente? Molti se lo augurano, noi ne registreremo l’eventuale risveglio.

di Alfonso Tozzi
tratto dal sito “La Gazzetta dell’Antiquariato”

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